

IL TARTUFO NELLA STORIA
Alcuni autori fanno risalire le prime notizie riguardanti i tartufi addirittura dagli antichi Sumeri, che pare mangiassero abitualmente tartufi mischiandoli ai pochi vegetali di cui potevano disporre, quali orzo, ceci, lenticchie e senape. Successivamente i Babilonesi, che li sottomisero intorno al 3000 a.C., mantennero tale abitudine apprezzandoli in modo particolare, tanto da fornire abbondanti ceste per la mensa reale. Gli Egiziani non furono certo da meno (2600a.C.), e lo stesso Faraone Cheope sembra esserne stato particolarmente ghiotto. L’epoca greco-romana fu teatro di un vivace dibattito sulla natura dei tartufi, che coinvolse filosofi, naturalisti, poeti e imperatori. Già nel II secolo prima di Cristo, Giovenale, nel corso di uno dei banchetti cui era solito partecipare recitando le proprie satire, dopo aver descritto una portata a base di porco accenna ai tartufi: “Dopo di questo saranno serviti i tartufoli, se i desiderati temporali avranno saputo rendere più laute le nostre cene!”. Cicerone fu più conciso e affermò semplicemente: “li tartuffi son figli della terra”. Dopo di lui Valerio Flacco manifesta un insolita teoria sui tartufi: “Urticam mare Procreat, terra vero tubera” (Come il mare genera le alghe, così il mare i tartufi). L’ imperatore Nerone, tra un incendio e l’ altro amava poetizzare a suon di lira e con enfasi li definì. “Li tartuffi son figli degli dei!”. Nel Medioevo se ne perdono le tracce. Lo si ritrova, in epoca rinascimentale, alla tavola di Caterina de’ Medici e Lucrezia Borgia e in tutti i banchetti più fastosi. Nel 1500 il medico umbro Alfonso Ciccarelli scrive il primo trattato sul tartufo e sempre nello stesso secolo, per la prima volta, Andrea Cesalpino annovera inequivocabilmente i tartufi tra i funghi. È importante ricordare che il “legame” tra pianta e tartufo fu intuito, per la prima volta, da un agricoltore francese nel 1810 il quale dopo aver seminato ghiande raccolte sotto querce che producevano tartufi neri (della specie “Tuber melanosporum”), si accorse, alcuni anni più tardi, che anche le giovani querce erano divenute a loro volta produttrici. Ma dovette passare un altro secolo abbondante prima che Oreste Mattirolo riuscisse a provare la relazione micorrizica e, quindi, a svelare il rapporto di simbiosi esistente tra essenza vegetale e tartufo.
